Li
Shan 李山nasce
nel 1942 a Lanxi, nella provincia dello Heilongjian. Studia alla Shanghai
Academy of Drama, solo dopo aver abbandonato un corso di studi in lingue, vinto
per merito. La Rivoluzione Culturale rallenta il suo corso di laurea, che si
conclude nel 1968 quando la situazione politica è troppo complessa per poter
intraprendere una carriera artistica. Accetta la cattedra di pittura
all’interno dell’accademia, tenendo corsi sulla base delle norme de Realismo
Socialista. Li Shan, da sempre appassionato di natura selvaggia, trova che lo
stile sovietico non riesca a rendere la poesia che si cela dietro ad un
paesaggio, così inserisce nozioni di pittura francese, confessando la propria
ammirazione nei confronti di Paul Gauguin e Henri Rousseu e attirando di
conseguenza le critiche da parte dell’accademia. Nel 1969 lavora in una
fattoria militare nella provincia del Zhejiang. Partecipa alla mostra
China/Avant-Garde Exhibition del 1989 a Pechino con una performance dal nome
Washing Feet e agli inizi degli anni Novanta inizia ad acquisire fama,
diventando uno degli esponenti più rappresentativi del Political Pop. Si
distingue maggiormente per le rappresentazioni di Mao, caratterizzate dall’uso
di colori molto forti che ricordano i poster di propaganda, dai quali l’artista
è evidentemente influenzato.
“Chiamala
storia personale. Nel 1989 sentii di dover guardare indietro a quel periodo
(crescere sotto Mao). Questo perché, per me, Mao è un simbolo culturale e non
politico. Ho ricavato molto da quel momento, da quel periodo storico. Non sarei
andato da nessuna parte senza Mao” [1]
Li Shan, Mao con fiore (Rosso), 1990, acrilico su tela, 110,5 x 127,8 cm, collezione privata, (www.artnet.com) |
Le stesse parole dell’artista rivelano come Mao sia
sempre stato presente nella sua vita. Li Shan mostrò interesse per la pittura
già da ragazzo, iniziando a dipingere Mao nelle pose ufficiali alle quali erano
abituati i cinesi dell’epoca maoista. Scoperta successivamente la passione per
la natura, passa alla raffigurazione di scene rurali. A Shanghai, dove l’arte
era soggetta a meno pressioni per via della lontananza dal cuore politico di
Pechino, inizia a frequentare i membri del New Art Movement, scoprendo
gradualmente nuove forme di pittura e di espressione. Tuttavia, la vera svolta
nella carriera di Li Shan sarà la nascita della figlia Yang Li, la quale
provocherà un distacco psicologico ed emotivo dall’epoca maoista [2]. Il
trascorrere del tempo porterà l’artista a riflettere sul valore delle
proprie esperienze, e alla rappresentazione di tali in uno stile completamente
nuovo. Negli anni Novanta realizza la serie Rosso (Yanzhi xilie, 胭脂系列)
che, a detta dello stesso artista, è la serie che gli ha permesso di
scoprire e apprezzare la sua vera espressione artistica.
Li Shan inizia la serie Rosso nel 1988 ma solo nei
primi anni Novanta compaiono i primi volti di Mao.
L’artista produrrà per
diversi anni una grande quantità di tali ritratti, utilizzando come modelli
esclusivamente due fotografie del leader: una risalente agli anni Trenta, da
giovane, probabilmente scattata da Edgar Snow e la classica posa di Tiananmen [3].
Questo
utilizzo così ridotto rispetto alla grande quantità di immagini ufficiali del
Presidente suggerisce innanzi tutto l’impronta personale dell’artista che ha
legato la propria memoria a due momenti specifici dell’epoca maoista e si
propone di esprimerne l’esperienza in merito. È infatti la propria versione dei
fatti che l’autore vuole raccontare e non la storia nazionale, sebbene ne
utilizzi il simbolo.
Mao non verrà utilizzato come un elemento politico, per
quanto lo sia, ma come un elemento culturale, qualcosa che fa parte e si
mescola con la cultura cinese. Tale elemento emerge già dal titolo della serie: Yanzhi胭脂, che significa belletto, trucco, e rimanda subito
alla tradizione teatrale dell’opera
lirica. In uno dei primi lavori della serie, Mao con fiore il Presidente è ritratto a metà, col volto truccato di un rosa acceso.
Come vediamo,
questa interpretazione è totalmente differente da quelle precedenti di Wang
Keping o Luo Zhongli, dal momento che la sua immagine viene non solo palesata
dai tratti specifici di Mao, ma soprattutto rinnovata e trasfigurata.
Il Grande
Timoniere perde in questa immagine tutta l’autorità che è solita portare una
sua rappresentazione, ne evidenzia un lato nuovo, sconosciuto. Il trucco
evidenzia le parti del viso e le esagera, porta con sé un’idea di eccesso,
accentuato dal fiore che tiene in bocca. Il personaggio che incarna è un xiao bailian 小白脸 (letterale: piccolo volto pallido), col quale si
intende la figura del dandy. Mao viene dunque ad assumere diverse forme, da una
parte attore d’opera dalla sessualità dubbia, dall’altro rubacuori dall’aspetto giovane e delicato. In ambedue le forme c’è però un
elemento in comune, quello del sesso, che come sostiene il critico Lu Peng吕鹏, sarebbe il vero significato della serie yanzhi 胭脂 [4].
La
parte del personaggio maschile che interpreta un ruolo femminile, come era
consuetudine nell’opera cinese, suggerisce una dimensione femminile associata a
Mao. Con questo Li Shan non vuole mettere in dubbio la sessualità del
Presidente, quanto riflettere sul tema dell’omosessualità. Per molti secoli
l’amore tra sessi uguali era una pratica comune e accettata in Cina ma con
l’avvio verso l’epoca moderna, le attitudini sessuali furono soggette a
cambiamenti.
Durante l’epoca maoista la sessualità era vista come una forma di
soggiogazione alle passioni, e dunque negativa. Qualsiasi sospetto di
omosessualità in particolare, veniva punito con torture psicologiche e
corporee. Con la fine dell’era maoista e l’inizio dell’epoca di apertura e
riforma, l’omosessualità riemerse dall’oscuro, soprattutto nei grandi centri,
pur essendo soggetta a pregiudizi sociali. L’accostamento di Li Shan dunque è di carattere
culturale, non politico né infamatorio. L’artista cerca di ricostruire alcuni
tratti di tale periodo, scegliendo quello della sessualità e utilizzando come
soggetto Mao Zedong, responsabile esso stesso dei cambiamenti sociali in merito
all’argomento. La domanda del perché di tale personaggio è anch’essa racchiusa
nell’aspetto culturale.
La propaganda cinese, servendosi di manifesti, canti,
testi, e di qualsiasi altro mezzo a sua disposizione, ha costruito un’immagine
soprannaturale del leader. Come sostiene lo stesso artista “[…] Era una figura
straordinaria, piena di bellezza” [5], ecco
dunque perché viene rappresentato con tali caratteristiche. Allo stesso modo,
il legame tra la figura del leader e il concetto di sessualità propone la
riflessione sul delicato rapporto tra perversione e potere. La
scelta del tema va ricercata inoltre nella biologia. Ancora una volta la
propaganda cinese ha il suo peso. L’omosessualità era definita come un difetto
genetico, pertanto solo legami sanguigni privi di tale difetto potevano
assicurare il futuro della progenie.
L’aspetto biologico, rimarrà una costante
non solo della Rouge Series e delle raffigurazioni di Mao, ma della totalità
dei lavori. Tale richiamo è qui rappresentato dal fiore di loto che Mao tiene
in bocca, in quanto elemento naturale. Il fiore tuttavia ha anche un secondo
scopo, richiamare cioè il
suo valore culturale.
Fin da tempi antichi esisteva un’usanza chiamata Loto d’Oro (Guojiao 裹脚o Chanzu 缠足: fasciatura dei piedi) che consisteva nel bendaggio
dei piedi delle giovani donne. Era una pratica estremamente crudele e dolorosa,
dal momento che le tutte le dita escluso l’alluce venivano portati sotto alla
pianta e si procedeva all’inarcamento dell’osso per ridurre la lunghezza del
piede. Le piccole dimensioni dell’arto erano considerate una qualità erotica.
Le donne, costrette a sorreggersi su pochi centimetri, assumevano un andamento
oscillante, paragonabile ai fiori di loto mossi dal vento, che divennero
pertanto un simbolo sessuale.
Lo stesso fiore compare in Rouge No. 2, realizzato nel 1992. Anche qui vediamo il volto di Mao imbiancato dalla cipria e con le guance e labbra accentuate dal colore rosso. In bocca sorregge il fiore di loto, che conferisce alla figura un’aria maliziosa.
Li Shan, Serie Rosso No.21, 1992, acrilico su tela, 119 x 160 cm, collezione privata, (http://www.artnet.com) |
Questa
volta però, il fiore non rappresenta il sesso solo simbolicamente, ma anche
figurativamente. Come possiamo vedere infatti la posizione dei petali crea una
composizione che ricorda la vagina. Il sesso determina ancora l’interpretazione
del lavoro, troviamo di nuovo la figura del xiao bailian e un rechiamo
specifico alla femminilità. L’ambiguità di Mao è nuovamente uno strumento per
indagare sui tabù sociali legati alla sessualità. Li Shan ne fa una questione
di equilibri: l’uomo mascherato da donna da una parte e il simbolo del sesso
femminile dall’altra nascondono uno sbilanciamento dello Yin e Yang, elementi
che dovrebbero coesistere armonicamente e che invece si ritrovano a lottare. Le
caratteristiche somatiche del leader, arricchite dal copioso trucco, rispettano
gli standard di bellezza femminile, come la rotondità, simbolo di buona
fortuna, o il pallore, che indica purezza, ma si percepisce una predominanza
dello Yang, parte maschile.
Sullo sfondo della figura è rappresentato il Bund di Shanghai, scelto appositamente come luogo simbolo dell’omosessualità. Come si è detto, i grandi centri erano più aperti rispetto a Pechino, dove risiedeva e risiede tuttora il cuore del Partito. Verso la metà degli anni Ottanta la riva qui rappresentata divenne un punto di ritrovo per la comunità omosessuale. Come sostiene lo stesso artista:
Sullo sfondo della figura è rappresentato il Bund di Shanghai, scelto appositamente come luogo simbolo dell’omosessualità. Come si è detto, i grandi centri erano più aperti rispetto a Pechino, dove risiedeva e risiede tuttora il cuore del Partito. Verso la metà degli anni Ottanta la riva qui rappresentata divenne un punto di ritrovo per la comunità omosessuale. Come sostiene lo stesso artista:
“Il fatto che abbia scelto persone sessualmente ambigue
per collegare i miei dipinti all’esperienza personale, ha molto a che fare con
Shanghai. Qui è speciale: i xiao bailian esistono anche in altri luoghi ma
Shanghai è una città più sviluppata e la loro presenza è largamente più
accettata” [6].
Li Shan, Mao e l’artista I, 1994, acrilico su tela, 148 x 179 cm, Hong Kong, Collezione Hanart TZ Gallery, (www.artnet.com) |
Nel
1994 dipinge Mao e l’artista I (Rouge No. 60), al quale seguirà lo stesso anno
Mao and the artist II (Rouge No. 69). Le raffigurazioni presentano gli stessi
due personaggi, ritratti in due posizioni e periodi differenti. Li Shan si
ritrae accanto al Grande Timoniere, in una posizione che gli fa da specchio. I
due uomini guardano l’osservatore come se lo invitassero a notare le differenze
tra i due. Sono entrambi molto giovani, elemento che l’artista usa per mettersi
allo stesso piano del leader. Sebbene non presenti gli stessi connotati delle
altre opere, è forse il lavoro che più rende omaggio alla libertà di
espressione.
Nell’ultimo
lavoro presentato, Li Shan utilizza la stessa foto da giovane. Mao è ritratto
nella classica posizione laterale, ma presenta nuovamente il particolare del
fiore appeso in bocca, che ancora una volta spezza e stravolge la tradizione
iconografica del leader. È ritratto su uno sfondo rosso, che simboleggia ardore
politico, e in particolare il periodo della Rivoluzione Culturale, ma anche
passione, come il fiore. Riprendendo lo stile dei manifesti di propaganda e
aggiungendo elementi legati alla propria esperienza, l’artista attua una
perfetta fusione tra versione ufficiale e interpretazione personale.
Li Shan, Senza titolo (Serie Rosso), 1995, olio e stampa su tela, 130 x 186 cm, Mauensee, Collezione Sigg., (www.artnet.com)) |
Questo
nuovo volto di Mao sarà prodotto in moltissime versioni dall’autore. Che sia
dipinto con un fiore in bocca, una farfalla che orina sul suo volto, o in
versione duplicata, Mao svolge sempre lo stesso ruolo, raccontare l’esperienza
del suo creatore.
[1]
SMITH, Karen, Nine Lives: the
birth of Avant-Garde in New China, Timezone 8, North America, 2008, p. 223
[2] Ibidem, p. 248
[3] DAL LAGO, Francesca, Personal Mao: Reshaping an Icon in
Contemporary Chinese Art, cit., pp. 47-59
[4] LU, Peng, 吕鹏, Zhongguo dangdai yishushi 1990-1999, 中国当代艺术史 1990—1999, Hunan Meishu Chubanshe, 湖南美术出版社, 2000, p. 174
[5]
SMITH, Karen, Nine Lives: the
birth of Avant-Garde in New China, cit., p. 240
[6] SMITH, Karen, Nine Lives: the birth of Avant-Garde in New China, cit., p. 256
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