Uno dei primi artisti ad utilizzare l’immagine di Mao è
Salvador Dalí, pioniere del Surrealismo.
Nel 1952, in collaborazione con Philippe Halsman, viene
prodotta l’opera Ritratto di Marilyn Monroe come il Presidente Mao.
Nell’immagine, la star del cinema Marilyn Monroe e il simbolo della rivoluzione
cinese Mao Zedong vengono fusi in un unico personaggio. Di Marilyn si
riconoscono le labbra aperte e provocanti, gli occhi dolci, il naso e il
celeberrimo neo, divenuto oggetto di moda. Mao mantiene invece la fronte
spaziosa, i capelli all’indietro, la classica posizione di lato, leggermente in
penombra, con un orecchio in vista e la giacca maoista. Come possiamo notare
dunque l’immagine prende gli elementi distintivi e universalmente riconoscibili
di due personaggi che, in ambienti e luoghi diversi, sono due icone mondiali.
Fondendo due personalità divergenti appartenenti a due mondi lontani non solo
geograficamente, ma soprattutto socialmente, i due artisti ci propongono una
contraddizione tra Oriente e Occidente, così distanti, eppure paradossalmente
vicini abbastanza da poter essere ritratti insieme. L’ironia utilizzata
dall’artista si palesa con l’accostamento del carattere mondano di Marilyn, sex
symbol in tutto il mondo, con quello politico maoista, anch’esso diffuso e
conosciuto. È proprio la diversità dei due personaggi che rende l’opera
irriverente e assurda, ma oltremodo spunto di riflessione. I due artisti ci
presentano la condizione della fama come un elemento comune a due personaggi
reciprocamente molto distanti. Marilyn è un’icona del cinema e della bellezza,
mentre Mao ha raggiunto la fama per le proprie idee politiche, ma entrambi
godono della stessa condizione rispetto al mondo.
Nel 1971, l‘artista utilizzerà nuovamente l’immagine in una
delle copertine realizzate per la rivista Vogue.
Nel 1967 Pierre Argillet, uno dei più grandi collezionisti
di opere surrealiste, portò a Salvador Dalí una copia delle Poesie di Mao
Zedong che colpì molto l’artista, tanto da comporne una serie dal nome Poème de
Mao Tse Tung. La serie, composta da 8 litografie, comprende una raffigurazione
che rappresenterebbe Mao Zedong.
L’opera in questione, Ritratto di Mao Zedong, fu eseguita su
commissione di Argillet. Come vediamo, la raffigurazione ritrae una figura
maschile in posizione eretta e senza testa.
Salvador
Dalí, Ritratto di Mao Zedong, 1967, litografia, 95.39 x 29 cm, Collezione Argillet, (www.brookgallery.co.uk) |
Intorno alla figura, alcuni elementi gli fanno da cornice:
scorgiamo uno stilizzato Cupido, degli uccelli, rocce rosa. A catturare la
nostra attenzione sono però i raggi che partono all’altezza delle spalle
dell’uomo, e che potrebbero ricordarci forse le raffigurazioni di Mao (del
medesimo periodo) nell’apice del culto della personalità.
Quando Argillet chiese a Dalí per quale motivo non avesse
disegnato la testa al proprio personaggio, egli rispose:
“Vedi, quell’uomo è talmente grande che non mi entra nella
pagina!”
Si tratta di un’affermazione ambigua, sia dal punto di vista
artistico che politico. L’artista, vuole forse affermare che la personalità di
Mao sia talmente grande e “ingombrante”, dal punto di vista politico da non
poter rientrare su un solo foglio di carta. Questa supposizione d’altro canto
potrebbe avere una connotazione positiva, o negativa.
Lo stesso mistero gravita intorno ad un’altra opera dell’artista
prodotta nel 1971: Autoritratto. Nel dipinto l’artista ritrae se stesso, come
suggerisce il titolo dell’opera e la presenza dei baffi allungati, tratto
distintivo di Salvador Dalí.
Sovrapposta alla propria immagine, Dalí aggiunge il
fotomontaggio di Ritratto di Marilyn Monroe come il Presidente Mao di cui si è
già parlato.
Salvador
Dalí, Self-Portrait, 1971, olio su tela, tecnica mista e collage, 118 x 96 cm, collezione privata, (www.mediation.centrepompidou.fr) |
Ancora una volta, l’artista gioca sul ruolo delle icone,
utilizzando per la raffigurazione di tali, tratti peculiari dei personaggi che
ritrae. L’accostamento di Marilyn, Mao e Dalí aggiunge al contrasto tra
capitalismo americano e comunismo asiatico, la terza forza europea,
rappresentata dall’artista di origini spagnole. L’accostamento
attrice-dittatore-artista suggerisce possibilmente la volontà da parte di Dalí
di eleggere se stesso alla posizione di icona mondiale in un’opera in cui culto
dell’immagine e culto della personalità si fondono.
I messaggi enigmatici dell’artista, misti all’utilizzo di
elementi surreali e riconducibili a visioni, ancora una volta lasciano spazio
all’interpretazione del messaggio che si cela dietro all’opera.
L’ultimo lavoro analizzato, Mae West, Marilyn Monroe, Mao,
fu prodotto nel 1973 in duecento copie.
Salvador
Dalí, Mae West, Marilyn Monroe, Mao, 1973, litografia, 50,5 x 69 cm, collezione privata, (www.artbrokerage.com) |
La litografia in questione, ripropone ancora una volta il
contrasto Oriente-Occidente, presentato non attraverso le icone dei due
personaggi che vuole presentare (Mao e Marilyn) bensì mediante l’utilizzo delle
bandiere americana e cinese, entrambe capovolte. Accanto a queste, l’artista ha
inserito alcune scritte: MAE WEST, MARILYN MONROE, MAO e la propria firma.
Si
tratta di un’opera stilisticamente diversa dalle altre esaminate, che ricorda
forse la pittura murale e che presenta un contrasto ironico e paradossale tra
due culture diverse. Sebbene sia difficile comprendere il messaggio di tali
opere, si potrebbe affermare che l’artista sia interessato a presentare una
realtà divisa a metà, caratterizzata da elementi diversi ma uniti nell’essere
icone mondiali. Si tratta forse di una riflessione sul concetto di fama e
potere che corre lungo due linee parallele, quello dello spettacolo e quello
della politica. L’artista affermerebbe così l’universalità dell’icona:
qualsiasi sia il motivo della nostra fama, un’icona politica sarà in ogni caso
uguale ad una stella del cinema.
Andy Warhol e il Mao Pop
Se nelle rappresentazioni di Dalí non troviamo delle vere e
proprie icone per via della mancanza dei tratti somatici specifici del
Presidente Mao, lo stesso non si può dire delle opere di Andy Warhol.
La nascita di una società di massa dominata dal consumismo,
determinò negli anni Cinquanta la nascita di un grande movimento artistico,
quello della Pop Art, che conobbe diffusione anche attraverso la Biennale di
Venezia del 1964. Il termine Pop Art (abbreviazione di Popular Art), coniato
nel 1955 dai critici Leslie Fiedler e Reyner Banham, designava le forme visive
e musicali connesse al mondo dei mass media e indicava il ruolo dei prodotti di
consumo nella vita quotidiana. Fu solo all’inizio degli anni Sessanta che il
termine fu utilizzato da Lawrence Alloway con il significato per cui lo
conosciamo oggi, riferimento cioè alla nascita di un movimento artistico
d’avanguardia . Sebbene non unitario, questo possedeva un comune atteggiamento
nei confronti della realtà urbana delle grandi città, dove mass media e
pubblicità si trovavano alla base della società dei consumi.
Tra i pionieri di suddetto movimento spicca la figura di
Andy Warhol che, attraverso la fotografia, tentò di denudare la nuova società.
Prodotti di consumo di massa come Coca-Cola, Campbell ma anche stelle del
cinema quali Marilyn Monroe e Liz Taylor, o anche icone politiche, Mao e Nixon,
venivano riprodotti in maniera seriale e trasformati cromaticamente al fine di
esorcizzare tali immagini o icone .
Andy
Warhol, Mao, 1972, tecnica mista,
208.3 x 154.9 cm,
Pittsburgh, Andy Warhol
Museum,
(www.warhol.org)
|
All’inizio degli anni Sessanta Warhol lascia il mestiere di
pubblicitario per dedicarsi esclusivamente all’arte. Si tratterà di una scelta
determinante dettata dall’idea che la pubblicità altro non è che un elemento
subito passivamente che si ripete all’infinito per poi scomparire. La scelta di
produrre arte tuttavia, non sarà al fine di ricercare libertà dal mondo dei
mass media, ma al contrario di prendere maggiore coscienza del linguaggio
artificiale di massa. Da ciò ne conseguirà l’abbandono dell’invenzione e della
produzione a favore della riproduzione di oggetti e persone che non sono frutto
dell’artista. In sostanza, Warhol si limiterà a riprodurre ciò che già esiste .
L’obiettivo dell’artista era dunque quello di affermare la riproducibilità
dell’arte, scardinando il concetto di stile.
L’utilizzo di immagini provenienti dai mass media, ripetute
al fine di privarle della carica semantica e ridotte a motivi decorativi, aveva
pertanto un effetto disorientante sull’osservatore, specie quando si trattava
di scene scioccanti quali la serie di sedie elettriche e incidenti stradali.
Nel 1971, Warhol iniziò a mostrare grande interesse per la
situazione politica cinese.
Sto leggendo molto a proposito della Cina. Sono così
bizzarri. Non credono nella creatività. L’unica immagine che hanno è quella di
Mao Zedong. Questo è eccezionale, sembra una serigrafia!”
Sarà dunque l’idea della grande ripetizione iconografica di
Mao in Cina che spinse Warhol alla produzione dei ritratti che tutti noi
conosciamo. Nel 1972 Bruno Bischofberger commissionò all’artista opere che
ritraessero personaggi noti su larga scala proponendo Albert Einstein, Warhol
scelse invece il Grande Timoniere, destinato a suo avviso non solo ad essere
idolo del momento per via dell’apertura all’America, ma famoso per sempre . Più
di duemila dipinti del Presidente Mao furono prodotti solo nel 1972.
Andy
Warhol, Senza Titolo, 1972,
serigrafia, 91,4 x 91,4 cm,
collezione privata, (www.tate.org.uk)
|
Come vediamo, l’artista utilizza l’immagine standard di Mao,
applicandovi cromature e spiccate saturazioni di colore. La figura del Grande
Timoniere viene perciò trasfigurata e, se vogliamo, ridicolizzata e ridotta ad
una mera carta da parati. L’elemento che contraddistingue le serie realizzate
col volto di Mao è l’introduzione della grafia dell’artista applicata
all’immagine . Sempre firmate e cifrate, le copie prevedevano spesso un
intervento simile a quello presente nell’opera qui mostrata. L’annullamento
dell’azione dell’artista è pertanto solo apparente.
Sebbene ogni lavoro prodotto abbia un valore singolare, è
nella riproduzione di tali che leggiamo il vero significato. Innanzitutto,
l’intervento di segni grafici e chiazze di colori vivaci che spezzano le linee
e annullano i contorni dei volti, liberano Mao dell’austerità a cui si lega la
sua figura. Il Presidente assume una luce diversa, divertente ed irriverente,
abbandonando per un istante la posizione che occupa a livello globale,
diventando anch’esso parte del mondo commerciale.
Warhol utilizza infatti la tecnica e i colori della
pubblicità per raffigurare grandi icone, trasformandole anch’esse in merce e
prodotti pronti alla vendita. Tutto ciò diventa estremamente ironico se ad
essere rappresentato è il simbolo del comunismo cinese. Mao agli occhi degli
occidentali, e di Andy Warhol stesso, è l’avversario numero uno del
capitalismo, è il simbolo di un mondo che rifiuta il consumismo a favore
dell’ideologia socialista. Ma la riproduzione serigrafica della propria
immagine lo costringe a rappresentare lo stesso elemento che combatte, diventa avversario
e concorrenza di se stesso. Andy Warhol ci presenta una nuova lettura della
ripetizione iconografica del Presidente Mao. La grande presenza del volto del
Grande Timoniere in Cina abbiamo visto avere scopo puramente propagandistico.
Mao rappresenta la luce del socialismo, il sole che illumina la nazione.
L’utilizzo che ne fa Warhol è invece completamente diverso. Come si è detto
l’artista produce numerose copie dell’immagine, paragonabile ad una produzione
industriale o pubblicitaria, rappresentando però non solo oggetti di consumo,
ma anche e soprattutto esseri umani. Si tratta dunque di una riflessione sul
concetto di fama, al quale Warhol sarebbe stato molto legato. Le star, o Mao in
questo caso, vengono mostrate e ripetute a tal punto che rimangono sì più
impresse nella mente di chi osserva, ma sono inserite in un vortice di immagini
apparentemente uguali tra loro e allo stesso tempo mescolate ad altre
raffigurazioni anch’esse moltiplicate che negano loro l’unicità. Propaganda e
pubblicità, che si manifestano nella stessa maniera, arrivano così ad assumere
due ruoli opposti: esaltazione nel primo caso e svuotamento del personaggio nel
secondo.
Andy
Warhol, Mao, 1973, tecnica mista,
448,3 x 346,7 cm,
Chicago, Galleria 297A,
(www.newnewyorkers.org)
|
Il personaggio che per eccellenza incarnava l’opposizione
politica, culturale e economica dell’America, veniva così schiacciato dalla
mercificazione della sua stessa icona, incarnando quello che Shanes definisce
un “capolavoro di ironia” . Ironia rappresentata non solo dalla contraddizione
di cui si è parlato, ma dallo stesso uso dei colori, spesso sgargianti, e dalle
espressioni che questi conferiscono al volto di Mao. Nell’opera sopra riportata
possiamo vedere come Warhol, inserendo macchie di colore sugli occhi e sulle
guance, abbia trasformato l’immagine Mao in una donna truccata da circo. Warhol
non solo accosta la figura di Mao al consumismo, ma trasforma e radicalizza la
raffigurazione del Presidente, che abbiamo visto essere standard fino a questo
momento.
Sebbene Mao non fosse stato l’unico personaggio nel mirino
dell’artista e le opere non posseggano dunque scopi politici, questa nuova
visione del leader non convince il governo cinese, tanto da vietare
l’esposizione dei Mao durante la mostra Andy Warhol: 15 Minutes Eternal
svoltasi a Andy Warhol: 15 Minutes Eternal svoltasi a Pechino nel 2012 .
Sigmar Polke ed altri autori
Un altro grande artista del Dopoguerra che scelse Mao come
soggetto della propria arte è Sigmar Polke.
Come Warhol, anche
Polke ridurrà al minimo l’importanza dell’autore, risaltando il proprio gusto
per la derisione e la comicità .
Sigmar
Polke, Kartoffenköppe (Mao & LBJ), 1965, resina su tela, 91 x 116 cm, Baden-Baden, Museum Frieder Burda, (www.arttattler.com) |
Traendo spunto dalla Pop Art, influenzato dal consumismo e
dal socialismo realista, Polke dipinge soggetti semplici su carta, oppure
soggetti monumentalizzati su grandi pannelli. Anche lui ripiega poi
sull’utilizzo di soggetti tratti dai mass media, producendo caricature o
riproduzioni di fotografie ricavate dai quotidiani.
Nel 1965 realizza l’opera Kartoffenköppe (Mao & LBJ). Il
lavoro presenta un faccia a faccia tra due grandi personaggi della Storia:
Lyndon B. Johnson e Mao Zedong, ritratti come due patate (Kartoffelköppe: lett.
Teste di patate).
Sigmar Polke, Mao, 1972, misto su feltro, 362,6 x 311,2 cm, New York, Museum of Modern Art, (www.moma.org) |
Dietro alle linee semplici di cui sono composte le due figure
stilizzate, si nascondono due pagine nere della Storia contemporanea. Le
caricature, riconoscibili solo perché ne vengono citati i nomi nel titolo
dell’opera, rappresentano due figure chiave dell’anno in cui fu prodotta Kartoffenköppe.
Nel 1965 Lyndon Johnson ordina i bombardamenti del Vietnam del Nord. Nello
stesso anno in Cina, il Presidente Mao dà il via alla Rivoluzione Culturale. Da
una parte vediamo dunque il presidente americano, non solo direttore
d’orchestra della Guerra in Vietnam, ma anche rappresentante del mondo
capitalista se leggiamo l’opera dal punto di vista della divisione politica di
quegli anni, dall’altra quello cinese, portavoce della forza opposta, quella
comunista, da sempre avversaria dell’America. I due presidenti, rappresentanti
di due mondi opposti, incarnano così la situazione durante la Guerra Fredda. A
chiudere il quadro della spaccatura politica vi è la stessa patata, che dà
forma ai due volti, interpretata come simbolo della Germania, paese originario
di Polke e teatro di combattimenti nel dopoguerra. Puntini e linee,
apparentemente innocui, fanno così riemergere l’importanza e la drammaticità
degli anni della Guerra Fredda, di cui lo stesso autore è vittima.
Nel 1972 Polke realizza l’opera Mao, che rispecchia la
poliedricità dell’artista.
Il presidente cinese è al centro della composizione,
ritratto su una bandiera rossa, decorata con motivi. Come vediamo l’artista si
serve di uno dei simboli del comunismo, la bandiera rossa, per rappresentare
quello che all’epoca era il simbolo stesso del comunismo. Il volto di Mao è
posto al centro di un cerchio bianco che riproduce l’effetto delle luci da
palcoscenico. Polke vuole ancora una volta ironizzare sulla posizione politica
di Mao, al centro dei riflettori della Storia mondiale.
Anche Jim Dine si sentì attratto dalla figura di Mao Zedong.
Nel 1967 realizza l’opera Drag - Johnson and
Mao.
Jim
Dine, Drag - Johnson and Mao, 1967, collage su carta, 86,9 x 122,5 cm, Londra, Tate Modern Museum, (www.tate.org.uk) |
Le due figure sono ricavate da quotidiani e lavorate poi in post
produzione. Anche Dine sceglie l’accostamento di quelli che potremmo definire
gli uomini più influenti degli anni in cui è prodotto il lavoro. L’artista ha
ingrandito su larga scala le immagini dei due leader e le ha poi affiancate con
la tecnica del collage. Come vediamo, i due volti presentano una pigmentazione
diversa. La puntinatura nitida e chiara del volto di Johnson indica una fonte
originale in bianco e nero, mentre la struttura a nido d’ape presente su Mao è
tipica delle immagini a colori . Anche
in quest’opera prevale l’ironia, suggerita dal trucco che l’artista applica ai
due personaggi. Ombretto, gote rosse e nei che ci ricordano il volto di Marilyn
e dello stesso Mao di Warhol, conferiscono ai presidenti l’aspetto di due drag
queen, come suggerito dal titolo dell’opera o di due personaggi appartenenti al
mondo dello spettacolo in generale. Questa rivisitazione non è nuova, tutti gli
artisti finora analizzati hanno avuto infatti la tendenza a mettere in risalto
la popolarità del presidente cinese, attraverso la trasfigurazione dell’immagine.
Nuovamente, l’apparente leggerezza suggerita da tale trasfigurazione, nasconde
una riflessione storica. Dine evidenzia il ruolo distinto dei due personaggi:
da una parte Johnson coinvolto nella Guerra in Vietnam che annuncia di non
ricandidarsi nel Marzo 1966, dall’altra Mao che guadagna fama attraverso la
Rivoluzione Culturale. La diversità dei colori dei due leader non è pertanto
casuale: Johnson che vede sfumare il proprio potere è ritratto in un pallido
bianco, mentre Mao appare più scuro e vigoroso.
Gerald Scarfe, fumettista noto per i disegni satirici
realizzati anche per le band britanniche Pink Floyd e The Beatles, ha
raffigurato personaggi politici come Mao, Nixon, Reagan, Thatcher con la stessa
ironia impiegata nelle vignette.
Gerald
Scarfe, Chairman Mao, 1971, pelle e legno, Londra, The Cartoon Museum, (www.neatorama.com) |
Nel 1971 realizza la scultura Chairman Mao.
Nell’opera vediamo raffigurata una sedia, o meglio un uomo-sedia, traduzione
letterale di chairman (presidente). Già da questo primo elemento leggiamo un
grande impiego di ironia da parte dell’artista. Mao non viene rappresentato
nella solita posizione standard o coi tratti del volto trasformati: la sua
trasfigurazione è totale, coinvolgente sia il piano fisico che politico. L’uomo
che vediamo e che ci appare seduto è in realtà una continuazione dell’oggetto
stesso. È come se fosse invecchiato su questa sedia dalla quale non riesce a
staccarsi, come suggerisce la posizione delle braccia. Quest’uomo ha trascorso
così tanto tempo seduto sulla poltrona da divenire sedia stessa. Il messaggio
di Scarfe è un attacco al dispotismo del Presidente Mao, già all’epoca divenuto
non solo portavoce e simbolo del comunismo cinese, ma rappresentazione del
comunismo stesso. Mao non è il presidente della Cina, è la Cina.
In tempi contemporanei, la figura di Mao è ancora molto
utilizzata. Non è possibile elencare qui la totalità degli artisti che ha usato
o usa l’icona del Presidente come oggetto dei propri lavori, ci limiteremo
dunque a parlare solo di alcuni. Le forme che assume il Grande Timoniere sono
molteplici, come i messaggi che mandano le opere in cui compare.
Nel 2006 il botanico collezionista di stampe orientali Tom
Kristensen produce M is for Mao.
Tom
Kristensen, M is for Mao, 2006, stampa su carta, 53 x 67 cm, collezione dell’artista, (www.ukiyo-e.org) |
Kristensen si ispira all’antica tradizione
dell’intaglio, nata in Cina tra il sesto e nono secolo. La tecnica, diffusasi
in Occidente durante il Medioevo, permise la diffusione della cultura
attraverso i libri. Nel XX Secolo la stampa assunse un ruolo indispensabile per
il Partito Comunista Cinese e la sua propaganda. La linea di Partito, come
abbiamo visto, veniva spesso supportata da poster colorati e scene di vita
quotidiana. Il rosso in particolare esprimeva lo spirito comunista sempre vivo.
Non a caso dunque Kristensen unisce molti degli elementi di cui si è parlato.
Innanzi tutto è il rosso a prevalere, solo che l’idea venduta in questa occasione
non è il comunismo, ma una delle catene di ristorazione più diffuse al mondo.
Il carattere M che sta per Mc Donald’s è inciso come un carattere da intaglio e
ha funzioni propagandistiche . L’artista accosta due grandi simboli, due icone,
diverse ed opposte, e ne fa un solo elemento. Accanto alla M vediamo infatti
non solo il volto di Mao, ma la stella che in questo caso simboleggia la Cina
comunista. La critica dell’artista è probabilmente rivolta alla conversione
della Cina al consumismo, pur rimanendo sempre nascosta dietro all’ideologia e
a Mao stesso.
Una ulteriore rivisitazione della figura di Mao è proposta
dall’artista statunitense Troy Gua.
Troy
Gua, The Michey Mao (Mickey Mouse + Chaiman Mao Zedong),
2009, acrilico e
resina su tela, 48 x 48 cm,
collezione privata,
(www.arttraffic.co.uk)
|
L’opera The Michey Mao (Mickey Mouse + Chaiman Mao Zedong) fa parte
della serie Pop Hybrids, prodotta nel 2009. I lavori dell’artista si propongono
come una riflessione sul concetto di icona e sul suo rapporto con la
collettività. In contrasto con la ripetizione iconografica proposta da Andy
Warhol, Gua realizza fusioni di icone che creano un nuovo e unico personaggio.
La nuova immagine, essendo il risultato dell’incontro di due icone, risulta
perciò essere un ibrido. Gli ibridi pop di Gua sono definiti come la riduzione
della personalità a logo, riciclo di due o più immagini al fine di creare una
nuova collezione di forme . Così il Grande Timoniere Mao va ad assumere le
forme di Mickey Mouse, mito del fumetto. Il risultato della fusione di due
icone mondiali, è un Mao che non è più solo il simbolo della Cina, ma anche
personaggio amato dai bambini, allo stesso modo Mickey Mouse aggiunge un certo
carattere autoritario alla propria immagine.
Più complessa è invece l’interpretazione di David Foox,
artista sudafricano appassionato di filosofia. Nell’opera Trinity Mao, Foox
idealizza una nuova moneta con al centro tre volti di Mao. La banconota,
ispirata ai Cento Yuan cinesi, trae elementi anche dal Dollaro americano.
David
Foox, Trinity Mao, 2014, giclée su cotone, 13,9 x 31,7 cm, collezione
dell’artista (http://www.redefinemag.com)
|
Come riferisce l’artista, il Mao a tre teste posto al centro
della banconota, rappresenta la dittatura mentale delle diverse facoltà
dell’umana percezione . I due volti a destra e sinistra possiedono un terzo
occhio, posizionato al centro della fronte. Questi rappresentano
rispettivamente creatività e logica, così come il doppio effetto negativo e
positivo della ghiandola pineale, alludendo quindi all’abilità della mente
umana di dotare gli oggetti inanimati di valore spirituale. Il Mao al centro è
marchiato dal tetragramatron che simboleggia coscienza divina e l’immutabilità
della chimica e della matematica. Sotto alle tre teste leggiamo la frase “In
Mao we trust (Crediamo in Mao)”, in cui Mao si sostituisce all’originario God
(dio) del Dollaro. Sopra al Presidente è riportato il taglio della moneta,
otto, ripetuto tre volte, una per ogni Mao, numero fortunato secondo le
credenze cinesi. La prosperità di cui tale numero vuole essere di buon
auspicio, è ribadita anche dai caratteri in basso a destra: fusheng 福生. Ai
lati della banconota troviamo ancora il tetragramatron, con dentro iscritta la
piramide, presente ai lati del Dollaro.
Mao è così trasformato in divinità, o percepito come tale
grazie alla ghiandola pineale rappresentata più volte. Foox utilizza l’immagine
del Presidente e lo pone al centro di una nuova banconota, arricchita degli
elementi filosofici e divini del Dollaro.
Mao è per l’artista la rappresentazione iconica del leader e
la sua immagine ha determinato la forma dell’era contemporanea, lo accosta
quindi all’economia americana esprimendo il desiderio di creare una moneta che
unisca il mondo intero e l’augurio, rappresentato dalla scritta in cinese e dal
numero otto, che ognuno di noi possa assistere a tale momento prima della
morte.
Il Grande Timoniere ha fatto la sua comparsa anche nelle
strade, dipinto dall’artista di strada argentino Ever (Nicolás Romero).
Ever,
Senza Titolo, 2011,
pittura murale,
Buenos Aires,
(www.driverlayer.com)
|
La pittura del giovane artista da alcuni anni riempie le
strade di Buenos Aires e di altre città del Sud America. Una caratteristica che ricorre nei personaggi
che raffigura è la mancanza degli occhi, elemento indispensabile nella comunicazione.
Quando parliamo siamo soliti guardare il nostro
interlocutore, per creare un ponte, una connessione che rinforzi la
comunicazione verbale. Come riferisce Nicolás Romero, i suoi personaggi,
essendo privati delle cavità oculari, sono bloccati, costringendo l’osservatore
a creare un nuovo canale di connessione che li leghi ad essi . Mao non fa
eccezione. Le sue visioni sono raffigurate in un caos di colori, come se
l’artista volesse dare voce alla moltitudine dei pensieri che affollano la
testa del Presidente. La scelta del personaggio, come spiega Romero, è dettata
dalla volontà di capire la contraddizione del comunismo, affascinante ma al
tempo stesso ricco di zone d’ombra. La frequenza nella rappresentazione di Mao,
come di scene tratte dai poster di propaganda, vuole proporre dunque una
riflessione politica, variabile a seconda del canale che si crea tra
l’osservatore ed il personaggio. Ancora una volta Mao è il simbolo di un
sistema politico che lo vede protagonista, sebbene siano trascorsi molti
decenni dalla sua morte.
Pubblicità
Citroën,
2008, (www.news.bbc.co.uk)
|
Oltre agli autori di cui si è parlato, moltissimi altri
hanno scelto il presidente cinese come materia della propria arte. Ne è un
esempio Frank Kozik che ha utilizzato la sua immagine per la locandina di un
concerto di Eddie Vedder e realizza sculture in resina raffigurandolo con le
orecchie di Topolino, e David Szauder che invece propone l’icona di Mao come
studio sulla perdita di memoria. Accanto ad essi troviamo anche alcuni artisti
italiani: Andrea Petrone ad esempio ce lo propone attraverso la fusione con il
volto di Totò, Giorgio Rizzi invece applica delle bruciature ai ritratti di
Andy Warhol e Gianni Colosimo che ha prodotto un bassorilievo raffigurante una
banconota con il suo volto. È inoltre comparso come mascotte pubblicitaria di
Sony con lo slogan “The new revolution is digital” e Citroën, la quale ha
dovuto presentare scuse ufficiali.
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